Cassazione Lavoro, sentenza del 29 maggio 2013
È collaboratore a progetto e non dipendente l’ex titolare dell’impresa che, da consulente, contribuisce a gestire la transizione sul mercato. Le cose non cambiano neanche quando al prestatore d’opera vengono riconosciuti dei benefits come l’auto e il cellulare aziendale.
La sentenza. È quanto emerge dalla sentenza 29 maggio 2013, n. 13394, della Corte di Cassazione – Sezione Lavoro.
Il caso. Gli Ermellini hanno respinto il ricorso proposto da un ex manager che ha ceduto marchio e rami d’azienda a una S.p.a., pattuendo al contempo il suo personale apporto lavorativo mediante la stipula di un contratto a progetto, con il compenso annuo di 60 mila euro, oltre l’uso di un’autovettura aziendale e del cellulare.
Niente reintegra. Al termine dei due anni pattuiti, la S.p.a. ha dato il ben servito al ricorrente. Di qui il contenzioso nel quale l’ex manager ha eccepito la sussistenza di un rapporto di natura subordinata con l’azienda. Tale eccezione non ha però sortito l’effetto sperato. Infatti i giudici con l’ermellino non hanno ravvisato nessuno dei caratteri tipici della subordinazione, quali, per esempio, il rispetto dell’orario di servizio e la sottoposizione al potere direttivo del datore. Insomma, al ricorrente è stata definitivamente negata la reintegra nel posto di lavoro di cui all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Esistenza del progetto. Già la Corte d’appello aveva rilevato la presenza di tutti i requisiti formali richiesti dall’articolo 61 del D.Lgs. 276 del 2003 affinché il contratto in questione potesse definirsi a progetto. Esso infatti non prevedeva la soggezione a un potere direttivo datoriale, bensì un lavoro autonomo, sebbene in rapporto di collaborazione coordinata e continuativa. Inoltre l’attività lavorativa indicata nel contratto poteva tranquillamente iscriversi in un progetto, sussistendo il collegamento funzionale a un risultato, costituito dal contribuire a gestire la transazione da un assetto proprietario ad un altro, posizionando la nuova società sul mercato attraverso l’utilizzazione dell’esperienza e delle conoscenze del precedente titolare, assunto come collaboratore a progetto.
Condanna alle spese. Il rigetto del ricorso ha determinato la condanna del lavoratore al pagamento della spese di lite, liquidate in oltre 4 mila euro, oltre accessori di legge.
La sentenza. È quanto emerge dalla sentenza 29 maggio 2013, n. 13394, della Corte di Cassazione – Sezione Lavoro.
Il caso. Gli Ermellini hanno respinto il ricorso proposto da un ex manager che ha ceduto marchio e rami d’azienda a una S.p.a., pattuendo al contempo il suo personale apporto lavorativo mediante la stipula di un contratto a progetto, con il compenso annuo di 60 mila euro, oltre l’uso di un’autovettura aziendale e del cellulare.
Niente reintegra. Al termine dei due anni pattuiti, la S.p.a. ha dato il ben servito al ricorrente. Di qui il contenzioso nel quale l’ex manager ha eccepito la sussistenza di un rapporto di natura subordinata con l’azienda. Tale eccezione non ha però sortito l’effetto sperato. Infatti i giudici con l’ermellino non hanno ravvisato nessuno dei caratteri tipici della subordinazione, quali, per esempio, il rispetto dell’orario di servizio e la sottoposizione al potere direttivo del datore. Insomma, al ricorrente è stata definitivamente negata la reintegra nel posto di lavoro di cui all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Esistenza del progetto. Già la Corte d’appello aveva rilevato la presenza di tutti i requisiti formali richiesti dall’articolo 61 del D.Lgs. 276 del 2003 affinché il contratto in questione potesse definirsi a progetto. Esso infatti non prevedeva la soggezione a un potere direttivo datoriale, bensì un lavoro autonomo, sebbene in rapporto di collaborazione coordinata e continuativa. Inoltre l’attività lavorativa indicata nel contratto poteva tranquillamente iscriversi in un progetto, sussistendo il collegamento funzionale a un risultato, costituito dal contribuire a gestire la transazione da un assetto proprietario ad un altro, posizionando la nuova società sul mercato attraverso l’utilizzazione dell’esperienza e delle conoscenze del precedente titolare, assunto come collaboratore a progetto.
Condanna alle spese. Il rigetto del ricorso ha determinato la condanna del lavoratore al pagamento della spese di lite, liquidate in oltre 4 mila euro, oltre accessori di legge.
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