La disciplina delle società di comodo riguarda le società e gli enti, individuati dall’art. 30, legge n. 724/1994, che:
- non superano il c.d. test dei ricavi, oppure
- si trovano in una situazione di perdita sistematica in relazione al triennio precedente al periodo di imposta di riferimento.
Il test dei ricavi prevede che vengano posti a confronto i ricavi medi del triennio con quelli ottenuti applicando appositi coefficienti ai beni di impresa: se i primi sono inferiori ai secondi la società è considerata non operativa.
La non operatività derivante dalle perdite si ha, invece, quando la società presenta dichiarazioni in perdita fiscale per tre periodi di imposta consecutivi oppure se, nel medesimo triennio, si verifica una perdita fiscale per 2 periodi di imposta e nel terzo viene venga dichiarato un reddito inferiore a quello minimo richiesto dal predetto art. 30, legge n. 724/1994 (art. 2, commi 36-decies e 36-undecies, D.L. n. 138/2011).
Le società non operative subiscono una serie di penalizzazioni tra cui, essenzialmente, l’obbligo di dichiarare un reddito minimo (da calcolare applicando ai beni di impresa appositi coefficienti), ai fini IRPEF/IRES/IRAP e il blocco dell’eventuale credito IVA.
Per evitare tali effetti, il legislatore offre a questi contribuenti un’agevole via d’uscita: l’adeguamento alle risultanze degli studi di settore.
Infatti, il punto 6-sexies del comma 1 dell’art. 30 prevede espressamente la non applicabilità della disciplina delle società di comodo “[…] alle società che risultano congrue e coerenti ai fini degli studi di settore”.
Per quanto riguarda le società in perdita fiscale, la possibilità di disapplicare la condizione di non operatività, in caso di congruità e coerenza con le risultanze degli studi di settore, è stata affermata dalla circolare n. 8 del 16 marzo 2012, con riferimento specifico al periodo di imposta in cui tale condizione scatta. Successivamente, il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate prot. 2012/87956 dell’11 giugno 2012 ha esteso tale possibilità anche ai soggetti in perdita sistematica che risultano congrui e coerenti ai fini degli studi di settore in almeno uno dei tre periodi di imposta indicati nell’art. 2, comma 36-decies, D.L. n. 138/2011.
In relazione, invece, agli effetti dell’adeguamento agli studi sulla condizione di non operatività, la circolare 9/E del 14 febbraio 2008 (punto 2.6), a commento della suddetta causa di esclusione, ha precisato che:
- vanno considerate congrue anche le società che ottengono tale risultato per effetto dell’adeguamento in dichiarazione;
- l’adeguamento ai ricavi richiesti da Gerico deve tenere conto degli effetti dei c.d. indicatori di normalità economica;
- la coerenza si ritiene sussistente solo quando la società “[…] risulti correttamente posizionata nei confronti di tutti gli indicatori di coerenza economica applicabili nei suoi confronti”;
- la condizione di esclusione in esame non è estendibile ai soggetti cui si applicano i parametri anche qualora dichiarino ricavi congrui;
- la condizione di esclusione deve essere verificata solo nell’esercizio di riferimento e non anche nel triennio utilizzato per il calcolo del test di operatività.
Quanto sopra mette in chiara evidenza i rapporti intimi che sussistono tra studi di settore e società di comodo. Infatti, i soggetti che riescono a mantenersi congrui e coerenti nulla hanno da temere in relazione alla condizione di non operatività sia che essa dipenda dal fallito test dei ricavi o dal ripetersi delle perdite fiscali. Inoltre, per le società in perdita sistemica, il rispetto degli studi di settore permette anche di “spezzare il triennio”, ove tale condizione si verifichi in uno dei periodi di riferimento dello stesso, ancorché questo si chiuda con una perdita fiscale.
I problemi sorgono quando la condizione di non operatività è accompagnata dal non rispetto delle richieste degli studi di settore. Questi contribuenti, infatti, devono decidere se adeguarsi agli studi e sfuggire alle società di comodo o subire gli effetti di entrambi i disallineamenti.
Tale scelta, nella maggior parte dei casi, dipende dall’entità del costo di adeguamento agli studi e quindi, in sostanza, dalle imposte richieste da Gerico tra cui l’IVA sui maggiori ricavi determinati da tale strumento che, a ben vedere, il contribuente non ha mai incassato.
Sul versante dei benefici, si devono valutare:
- le imposte risparmiate per effetto del non adeguamento al reddito minimo;
- la possibilità di mantenere compensabile l’eventuale credito IVA;
- il vantaggio derivante dall’interruzione del triennio in perdita sistemica.
Gli svantaggi sono legati ad un sostanziale abbandono della possibilità di negoziare, in sede di successivo contraddittorio con l’Ufficio, il quantum delle imposte dovute. Ciò è particolarmente rilevante laddove la non congruità derivi da circostanze particolari valutabili solo in tale sede come, ad esempio, la contrazione dei ricavi conseguente all’apertura di un nuovo centro commerciale in prossimità della sede si svolgimento della propria attività. Infatti, in tali casi, le circostanze che giustificano i minori ricavi possono essere segnalate nelle note del modello studi di settore e, successivamente, discusse con l’Ufficio; opportunità questa che, ovviamente, si perde in caso di adeguamento.
Altro elemento da valutare è il costo dell’adeguamento al reddito minimo che ben potrebbe essere inferiore a quello richiesto da Gerico. Sotto questo aspetto, comunque, un ruolo fondamentale gioca l’eventuale presenza di un credito IVA che si intende recuperare. Infatti, l’adeguamento al reddito minimo non esplica alcun effetto ai fini dello sblocco del credito IVA mentre, invece, quello alle richieste degli studi di settore, costituendo una causa di esclusione dalla disciplina delle società di comodo, rende nuovamente disponibile il credito IVA.
In conclusione, per chi soffre sia della condizione di non operatività sia della non congruità agli studi di settore, la redazione di UNICO 2014 richiede un attento esame degli effetti che tali condizioni provocano sulla propria situazione fiscale in termini di maggiori imposte che possono essere pretese dal Fisco e di limiti allo sfruttamento del credito IVA.
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