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Home Diritto Penale dell' Economia LIMITI DI UTILIZZO NEL PROCESSO PENALE DELLE PROVE PRESUNTIVE TRIBUTARIE

LIMITI DI UTILIZZO NEL PROCESSO PENALE DELLE PROVE PRESUNTIVE TRIBUTARIE

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Con la recente sentenza n. 6823 del 17 febbraio 2015, la Corte di Cassazione si è espressa in ordine al delicato tema dei limiti entro i quali le presunzioni tributarie - cui solitamente fanno ricorso i verificatori dell’Amministrazione finanziaria nell’ambito delle attività di verifica fiscale - possono essere utilizzate per la contestazione di reati tributari.

Nella circostanza, la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi in ordine alla legittimità di una contestazione penale per “omessa dichiarazione”, ex art. 5 del D.Lgs. n. 74 del 2000, in cui il superamento della soglia relativa all’imposta evasa derivava dalla quantificazione presuntiva operata nel processo verbale di constatazione.

Per affrontare in modo adeguato la tematica è necessario tenere conto della natura delle diverse presunzioni ammesse dal legislatore tributario e verificarne l’ammissibilità nel sistema penale.

Occorre, al riguardo, avere presente che l’utilizzo, in ambito tributario, delle presunzioni è comunque subordinato a determinate condizioni analiticamente dettate, in relazione alle imposte dirette e all’Iva, rispettivamente agli artt. 39 nonché 54 e 55 dei DD.P.R. n. 600 del 1973 e 633 del 1972, in funzione della metodologia di accertamento in concreto utilizzata.

Tornando alla vicenda oggetto della pronuncia dei giudici di legittimità - che ha tratto origine dalla condanna, da parte del Tribunale di Trapani, dell’imputato per il reato di “omessa dichiarazione” (art. 5 D.Lgs. n. 74 del 2000) - la Cassazione ha accolto il motivo di ricorso proposto dal contribuente, ritenendo che i giudici di merito non avrebbero correttamente verificato l’ammontare dell’imposta evasa e il relativo superamento della soglia di punibilità.

Nella sentenza si legge che questi ultimi avrebbero invece quantificato “l’evasione in maniera presuntiva, facendo proprie le risultanze dell’accertamento tributario che, com’è noto, è strutturato su parametri del tutto lontani e diversi rispetto al sistema probatorio penale”, ponendo a carico dell’indagato “l’onere di dimostrare il fatto negativo del non superamento della soglia di evasione”.

Sempre secondo i giudici, l’accertamento presuntivo, ammesso in sede tributaria, non può trovare ingresso in sede penale in quanto il giudice è tenuto a verificare la sussistenza della violazione a mezzo di specifiche indagini che possano far luce sulla fondatezza o meno della tesi accusatoria.

Su analoga posizione si è attestato il Comando Generale della Guardia di Finanza, nella Circolare n. 1/2008 che, al riguardo, nel Volume III, Parte VII, Cap. 4, par. 4 osserva “il giudice penale è tenuto a valutare la rilevanza delle prove addotte, anche di carattere indiziario, in maniera del tutto autonoma, percorrendo tutto il procedimento logico e argomentativo necessario per stabilire se uno o più elementi abbiano o meno la capacità di dimostrare la sussistenza di un fatto costituente reato e la sua effettiva riferibilità al presunto responsabile”.

La posizione espressa dalla Cassazione nella decisione in commento e in numerosi precedenti giurisprudenziali consente di affermare il principio dell’inapplicabilità nel processo penale del meccanismo dell’inversione dell’onere probatorio a carico del contribuente/imputato, essendo il relativo giudizio governato da regole diverse che presuppongono uno scrupoloso vaglio critico da parte del giudice, chiamato a valutare tutti gli elementi a sua disposizione - comprese le presunzioni tributarie, che possono essere considerate indizi, ex art. 192 c.p.p. - e a procedere alla determinazione dell’imposta evasa.

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Ultimo aggiornamento Giovedì 26 Febbraio 2015 14:32  

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