Cassazione Tributaria, sentenza depositata il 17 marzo 2015
In materia di operazioni soggettivamente inesistenti, una volta che l’Amministrazione finanziaria abbia fornito la prova, anche presuntiva, della natura di “cartiera” del soggetto apparentemente cedente (quindi dell’inesistenza soggettiva dell’operazione), spetta al contribuente dimostrare il proprio incolpevole affidamento.
È quanto si ricava dall’ordinanza 17 marzo 2015 n. 5313 della Corte di Cassazione, Sesta Sezione Civile – T.
La controversia ha riguardato l’impugnazione di un avviso di accertamento con il quale l’Ufficio finanziario ha contestato alla società contribuente la registrazione di fatture d’acquisto per operazioni soggettivamente inesistenti, con conseguente impossibilità di detrarre l’IVA versata. Da qui il recupero dell’imposta, che però è stato annullato dalla CTR per il Lazio.
Ebbene, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la decisione del Giudice dell’appello facendo leva sui criteri di riparto dell'onere probatorio tra fisco e contribuente; criteri individuati dalla copiosa giurisprudenza di legittimità in tema di coinvolgimento del cessionario nelle frodi “carosello” e male interpretati dalla sentenza impugnata.
In materia di detrazione IVA, liquidata nella fattura passiva emessa dal cedente e versata in rivalsa dal cessionario, è stata, tra le altre, la sentenza n. 1308/2014 a chiarire che, qualora sia contestata l'inesistenza soggettiva dell'operazione, grava sull'Amministrazione finanziaria l'onere di provare, anche in via presuntiva, ex articolo 2727 c.c., l'interposizione fittizia del cedente ovvero la frode fiscale realizzata a monte dell'operazione, eventualmente da altri soggetti, nonché la conoscenza o conoscibilità da parte del cessionario della frode commessa.
Spetta invece al contribuente, che intende esercitare il diritto alla detrazione o al rimborso, provare la corrispondenza anche soggettiva dell'operazione di cui alla fattura con quella in concreto realizzata ovvero l'incolpevole affidamento sulla regolarità fiscale, ingenerato dalla condotta del cedente.
Questi principi, ad avviso degli ermellini, sono stati disattesi dalla CTR capitolina, laddove ha considerato insufficienti le prove offerte dall’amministrazione in quanto fondate su presunzioni semplici, invece che “su valide e documentate prove”. Così facendo, però, la sentenza gravata ha negato che l’Ufficio possa adempiere il proprio onere probatorio anche mediante presunzioni, incorrendo nel denunciato vizio di violazione di legge.
Il giudice dell’appello, pertanto, dovrà riesaminare la controversia.
È quanto si ricava dall’ordinanza 17 marzo 2015 n. 5313 della Corte di Cassazione, Sesta Sezione Civile – T.
La controversia ha riguardato l’impugnazione di un avviso di accertamento con il quale l’Ufficio finanziario ha contestato alla società contribuente la registrazione di fatture d’acquisto per operazioni soggettivamente inesistenti, con conseguente impossibilità di detrarre l’IVA versata. Da qui il recupero dell’imposta, che però è stato annullato dalla CTR per il Lazio.
Ebbene, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la decisione del Giudice dell’appello facendo leva sui criteri di riparto dell'onere probatorio tra fisco e contribuente; criteri individuati dalla copiosa giurisprudenza di legittimità in tema di coinvolgimento del cessionario nelle frodi “carosello” e male interpretati dalla sentenza impugnata.
In materia di detrazione IVA, liquidata nella fattura passiva emessa dal cedente e versata in rivalsa dal cessionario, è stata, tra le altre, la sentenza n. 1308/2014 a chiarire che, qualora sia contestata l'inesistenza soggettiva dell'operazione, grava sull'Amministrazione finanziaria l'onere di provare, anche in via presuntiva, ex articolo 2727 c.c., l'interposizione fittizia del cedente ovvero la frode fiscale realizzata a monte dell'operazione, eventualmente da altri soggetti, nonché la conoscenza o conoscibilità da parte del cessionario della frode commessa.
Spetta invece al contribuente, che intende esercitare il diritto alla detrazione o al rimborso, provare la corrispondenza anche soggettiva dell'operazione di cui alla fattura con quella in concreto realizzata ovvero l'incolpevole affidamento sulla regolarità fiscale, ingenerato dalla condotta del cedente.
Questi principi, ad avviso degli ermellini, sono stati disattesi dalla CTR capitolina, laddove ha considerato insufficienti le prove offerte dall’amministrazione in quanto fondate su presunzioni semplici, invece che “su valide e documentate prove”. Così facendo, però, la sentenza gravata ha negato che l’Ufficio possa adempiere il proprio onere probatorio anche mediante presunzioni, incorrendo nel denunciato vizio di violazione di legge.
Il giudice dell’appello, pertanto, dovrà riesaminare la controversia.
Autore: Redazione Fiscal Focus
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