LA FORMA SCRITTA NELLE COMUNICAZIONI BANCARIE DI VARIAZIONE IN PEJUS (JUS VARIANDI)
La comunicazione, recita la legge, deve avvenire in forma scritta o mediante altro supporto durevole (1).
Il meccanismo legislativo presuppone che la proposta di modifica unilaterale del contratto sia effettivamente ricevuta dal cliente, trattandosi di dichiarazione recettizia i cui effetti dipendono strettamente dal concreto recapito all’indirizzo del destinatario (art. 1335 c.c.).
L’onere della prova circa l’invio e la ricezione della comunicazione grava sulla banca. Ove la banca non sia in grado di provare la ricezione della comunicazione, il diritto di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali rimarrà privo di effetti, se il cliente ne contesti la validità.
Quanto alla comunicazione della modifica, non può esserci dubbio che - quale atto recettizio - produce effetto solo quando pervenga a conoscenza del destinatario (art. 1334 c.c.). La “forma scritta” della comunicazione della modifica non include la sottoscrizione, come è evidente dall’alternatività rispetto al “supporto durevole”, così come disposto dall’art. 118 t.u.b. Tuttavia, salva l’ipotesi di posta elettronica quale “supporto durevole”, per avvalersi della presunzione di cui all’art. 1335 occorre, secondo la giurisprudenza, quanto meno l’invio di una raccomandata (pur senza avviso di ricevimento) che poi ne fa anche presumere l’arrivo (Cass. civ., Sez. lavoro, 22/02/2006, n. 3873). Tuttavia sono idonee anche presunzioni semplici di conoscenza, sufficienti agli effetti dell’art. 1334 c.c., diverse dall’arrivo della comunicazione all’indirizzo del destinatario (Cass. civ., Sez. II, 12/07/2011, n. 15293).
Dunque, risulteranno idonei a dimostrare l’an ed il quando del pervenire della comunicazione a conoscenza del cliente anche strumenti meno dispendiosi della raccomandata che fossero individuati dalla banca, purché idonei - secondo le regole probatorie generali - a far ritenere l’evento probabile, così come prove dirette scaturenti da dichiarazioni rese da cliente anche in diverse occasioni o procedimenti (di reclamo o quant’altro) da cui possa desumersi la conoscenza della comunicazione, poi contestata.
L’art. 118 t.u.b., 3° co., prevede:
Le variazioni contrattuali per le quali non siano state osservate le prescrizioni del presente articolo sono inefficaci, se sfavorevoli per il cliente.
La sanzione di inefficacia delle variazioni contrattuali sfavorevoli per il cliente, “per le quali non siano state osservate le prescrizioni” dell’art. 118 t.u.b., così come stabilita dal 3° comma, tra cui la forma scritta, è forse l’aspetto più problematico, nella sua interferenza con l’evoluzione del rapporto, che ha avuto ulteriore svolgimento successivamente alla comunicazione da parte della banca e sino a quando il cliente ne abbia contestato l’inefficacia.
Il rischio concreto per la banca consegue alla circostanza che la contestazione del cliente potrebbe difatti pervenire anche a distanza di molti anni, negli ampi limiti della prescrizione decennale del suo diritto. Ben si comprenderà quindi l’ampiezza del rischio, ben potendo il cliente, anche dopo quasi un decennio, ottenere il ricalcolo di un lungo lasso di tempo del rapporto contrattuale ad un tasso e/o altre condizioni di contratto che la banca riteneva non più applicabili al rapporto contrattuale, ed anche con addebito di una possibile responsabilità risarcitoria nei confronti del cliente per avere applicato una condizione contrattuale successivamente dichiarata, con effetto originario, inefficace.
A mitigare il rischio per la banca può solo valere il principio di conservazione del contratto e quindi anche dell’atto unilaterale a contenuto patrimoniale (art. 1324 c.c.), emergente dagli artt. 1367, 1419 e 1423 c.c.
È indubbio che il ripristino delle vecchie condizioni per i molti anni che fossero trascorsi sconvolga il rapporto e quindi è necessario cercare il fondamento di un onere di tempestiva contestazione da parte del cliente, una volta naturalmente che questi abbia avuto effettiva conoscenza della variazione introdotta dalla banca.
Una soluzione è stata individuata dalla Cassazione, che in un caso di mancata richiesta di reintegra, protratta per quasi tre anni, da parte di alcuni lavoratori che ne avevano acquisito il diritto a seguito di una sentenza della Corte costituzionale (Cass. civ., Sez. lavoro, 28/04/2009, n. 9924, in Prat. Lavoro, 2009, 1370), ritenne che gli artt. 1175 e 1375 c.c. autorizzassero a valutare “il comportamento del contraente titolare di una situazione creditoria o potestativa, che per lungo tempo trascuri di esercitarla e generi così un affidamento della controparte nell’abbandono della relativa pretesa, come idoneo a determinare la perdita della stessa situazione soggettiva”.
Allo stesso modo sarebbe perciò giustificato ritenere che, venuto a conoscenza della variazione introdotta dalla banca, il cliente, se ritiene di contestarne l’efficacia per violazione delle disposizioni dell’art. 118 t.u.b., abbia l’onere di farlo con la tempestività necessaria ad evitare di ingenerare nella controparte l’affidamento nella prosecuzione del rapporto alle condizioni che il cliente ritiene invece inefficaci, a pena altrimenti della perdita dei diritti conseguenti a detta inefficacia (o quantomeno del risarcimento del danno sostenuto quale arrecato dalla banca, nella intempestività della contestazione).
Note:
(1) La nozione di supporto durevole è di derivazione comunitaria: la direttiva 97/7/CE (13° considerando, e artt. 4 e 5) e la direttiva 2002/65/CE, art. 2, lett. f), lo definiscono come:
“(…) qualsiasi strumento che permetta al consumatore di memorizzare informazioni a lui personalmente dirette in modo che possano essere agevolmente recuperate durante un periodo di tempo adeguato ai fini cui sono destinate le informazioni stesse, e che consenta la riproduzione immutata delle in-formazioni memorizzate”, per finire con il 23° considerando della direttiva 2011/83/UE che vi include “documenti su carta, chiavi USB, CD-ROM, DVD, schede di memoria o dischi rigidi del computer nonché messaggi di posta elettronica”.
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