Numerose sono oramai le sentenze di merito che dichiarano illegittimo il raddoppio dei termini accertativi invocato dagli Uffici finanziari per la notifica dei propri atti impositivi, qualora la notizia di reato o la denuncia sia stata inoltrata alla Procura della Repubblica in maniera intempestiva, ossia dopo lo spirare dei termini decadenziali ordinari.
L’illegittimità di tale modus operandi è stata peraltro chiaramente affermata da numerose Commissioni tributarie anche per gli atti accertativi notificati entro il 2 settembre 20151, ossia gli atti per i quali l’art. 2, terzo comma del D.Lgs. n. 128/2015 faceva salvi gli effetti del raddoppio dei termini secondo la precedente disciplina, come interpretata dalla Corte Costituzionale con la nota Ordinanza n. 247 del 25/07/2011, che non richiedeva la denuncia tempestiva, ma solo la sussistenza dell’obbligo di denuncia.
Il tema è stato, peraltro, affrontato dalla Ctp di Treviso nella sentenza n. 175/1/2016, depositata il 31/05/2016, ove i Giudici veneti hanno aggiunto un ulteriore tassello alla ricostruzione normativa ed ermeneutica dell’istituto in questione, con riferimento proprio a questi ultimi atti impositivi, non mancando di proporre gli opportuni collegamenti con la citata ordinanza della Consulta.
Le modifiche della Legge di Stabilità 2016. L’istituto del raddoppio dei termini accertativi di cui trattasi è stato soppresso dall’art. 1, commi da 130 a 132 della Legge 28/12/2015, n. 208; la revisione interviene nel contesto di una più generale modifica dei termini di decadenza per l’accertamento per cui, a prescindere dalla presenza o meno di violazioni penal tributarie, gli atti impositivi dovranno essere notificati entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, ovvero entro il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata (in caso di dichiarazione omessa o nulla).
Per espressa previsione normativa, tali nuovi termini decadenziali si applicheranno a partire dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2016; in altri termini, per i contribuenti ccdd. “solari”, le nuove regole opereranno con riferimento alle dichiarazioni relative all’anno 2016 (Unico, IVA, IRAP, 730, 770 / 2017) e a quelle successive.
Le annualità pregresse: abrogazione tacita della clausola di salvaguardia? Il citato comma 132 dispone in merito alle pregresse annualità d’imposta (quindi, fino all’annualità 2015 compresa, per i soggetti ccdd. “solari”); più in dettaglio, dispone la notificazione dei relativi avvisi di accertamento, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione ovvero, nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di dichiarazione nulla, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.
Per le stesse annualità (pregresse), il comma 132 prevede, peraltro, che in caso di reati tributari i predetti termini sono raddoppiati, ma tale raddoppio non opera qualora la denuncia sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei medesimi termini (quadriennio o quinquennio, a seconda dei casi).
Non avendo la novella normativa riproposto alcuna clausola di salvaguardia analoga a quella di cui al citato art. 2, terzo comma del D.Lgs. n. 128/2015, né avendo fatto espresso richiamo alla disposizione da ultimo citata, si è originato un filone nella giurisprudenza di merito, che trae origine dalla sentenza n. 386/05/16 della Ctr Lombardia, depositata il 22/01/2016, secondo il quale la clausola di salvaguardia testè citata deve intendersi implicitamente abrogata con l’entrata in vigore della Legge di Stabilità 2016.
La sentenza della Ctp di Treviso. Con la pronuncia n. 175/1/2016, depositata il 31/05/2016, la prima sezione della Ctp di Treviso si è espressa su una serie di avvisi di accertamento ai fini IRES, IRAP e IVA, notificati ad una Srl, relativi all’anno d’imposta 2006.
Le contestazioni prendevano le mosse dall’esame eseguito dalla Guardia di Finanza su acquisti di merce per importi rilevanti, che la società accertata risultava aver effettuato presso una ditta individuale intestata ad un cinese, la quale risultava aver operato come mera “cartiera”; in altri termini, le fatture contabilizzate dalla srl venivano in un primo tempo ritenute emesse per operazioni oggettivamente inesistenti. Di conseguenza, emittente ed utilizzatore venivano deferiti alle competenti Procure della Repubblica per l’avvio dei rispettivi procedimenti penali.
Successivamente i citati procedimenti penali si risolvevano a favore degli indagati, nel senso che i Magistrati titolari delle indagini conclusero per l’insussistenza dei fatti, provvedendo all’archiviazione delle relative posizioni giuridiche.
L’impugnazione degli avvisi di accertamento. In data 12 giugno 2015 venivano notificati alla srl gli avvisi di accertamento sottoposti al vaglio della Ctp trevigiana, sulla base di una riqualificazione degli acquisti contestati (da parte dell’Agenzia delle Entrate) da “operazioni inesistenti” a “operazioni non inerenti”, comunque di rilevanza penale in considerazione dell’imposta evasa, sul presupposto della mancata prova del requisito di inerenza da parte della ricorrente.
Quest’ultima impugnava la riqualificazione dell’ipotesi accusatoria (da art. 2 ad art. 4 del D.Lgs. n. 74/2000), deducendo, quale motivo pregiudiziale, la nullità degli avvisi di accertamento per decadenza dei termini accertativi, oltre ad una serie di altri motivi procedurali e di merito.
Secondo la ricorrente, in altri termini, gli atti impositivi, tutti riferiti all’anno d’imposta 2006, avrebbero dovuto essere notificati entro il 31 dicembre 2011, non potendo l’Ufficio invocare il raddoppio dei termini, né sulla base di una comunicazione di reato che riguardava un’ipotesi delittuosa diversa da quella che aveva dato origine ai paralleli rilievi in ambito amministrativo, né sulla successiva ipotesi delittuosa (quella di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 del D.Lgs. n. 74/2000) in quanto comunicata all’Autorità Giudiziaria in data 21/01/2012, quindi dopo la scadenza del predetto termine decadenziale ordinario.
Le controdeduzioni dell’Ufficio. Tra i motivi di difesa, l’Agenzia delle Entrate conferma la legittimità del proprio operato, non rendendosi, a suo avviso, applicabile la nuova disciplina in tema di decadenza accertativa, in quanto trattasi di atti impositivi notificati prima del 2 settembre 2015 (data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 128/20015); in altri termini, per l’Ufficio è pienamente operante nel caso in questione la previsione della disciplina transitoria di cui all’art. 2, comma 3 del citato decreto, ai sensi del quale sono legittimi gli atti impositivi notificati nel termine raddoppiato, a prescindere dalla data di inoltro della denuncia per reati tributari.
La tesi dei Giudici tributari. I Giudici trevigiani si soffermano sulla sola doglianza pregiudiziale, ossia l’illegittimità del raddoppio dei termini invocato dall’Ufficio per la notifica degli atti impositivi.
In tale contesto, i Giudici aditi fanno due ragionamenti degni di nota. Il primo ragionamento si inquadra perfettamente nel “filone abrogativo” di cui alle predette pronunce di merito; in sostanza, anche per la prima sezione della Ctp di Treviso, la Legge di Stabilità 2016, non riproducendo il periodo che faceva saldi gli effetti degli accertamenti notificati entro il 2 settembre 2015, ha implicitamente abrogato tale disposizione, con la conseguenza che, anche per le annualità d’imposta precedenti il 2016, il raddoppio dei termini non opera qualora la denuncia sia stata presentata oltre la scadenza ordinaria dei termini di decadenza per l’accertamento.
Il secondo ragionamento si richiama, invece, ad un principio fondamentale coniato dalla Consulta nella citata Ordinanza n. 247/2011: l’obbligo di denuncia sorge quando il pubblico ufficiale è in grado di individuare con sicurezza gli elementi del reato da denunciare e al giudice tributario è attribuito il potere di valutare ora per allora (la cd. prognosi postuma) la sussistenza dei seri indizi di reato, “per escludere che l’Amministrazione abbia fatto un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento”.
Per i giudici della Marca, in conclusione, gli atti impositivi sono intervenuti dopo che in sede penale era stata dichiarata l’insussistenza del reato contestato in riferimento ad operazioni né oggettivamente, né soggettivamente inesistenti e ciò costituisce proprio quell’uso “pretestuoso e strumentale” condannato dalla Corte Costituzionale nella citata ordinanza; ne conseguiva l’accoglimento del ricorso con condanna dell’Ufficio al pagamento delle spese di giudizio.
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1 Ex multis, cfr sentenze n. 2922/36/16 della Ctp di Milano depositata il 5/4/2016, n. 90/02/16 della Ctp di Reggio Emilia depositata il 04/04/2016, n. 77/02/2016 della Ctp di Lecco depositata il 24/3/2016, n. 447/06/16 della Ctp di Firenze depositata il 21/03/2016, n. 117/04/16 della Ctp di Como depositata il 21/3/2016.
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