Il rapporto tra cfc black list e cfc white list
A seguito delle profonde novità introdotte in materia di controlled foreign companies dal legislatore negli ultimi anni è bene fare il punto per cogliere quale sia il rapporto tra la disciplina cfc di cui all’art. 167 del Tuir, che potremmo chiamare black list, ossia quella del comma 1, e la disciplina white list che è invece contenuta nel comma 8 bis.
Va innanzitutto rilevato come la disciplina cfc black list operi al mero verificarsi della condizione di cui al comma 4, ossia che la società estera sia soggetta ad un regime fiscale ordinario o speciale che determina un livello impositivo nominale inferiore alla metà di quello italiano.
Appare irrilevante l’attività svolta dalla società estera se non per valutare la sussistenza della esimente di cui alla lettera a) del comma 5.
Pertanto, senza entrare nel merito delle esimenti, il livello di regime fiscale nominale già determina la tassazione per trasparenza in capo al soggetto controllante italiano.
Si badi, tuttavia, che la presente disciplina trova applicazione solamente per i Paesi non appartenenti alla UE o allo SEE che scambia informazioni. I paesi dello SEE che scambiano le informazioni sono la Norvegia, l’Islanda e, come segnalato dalla circolare 35 di questa estate, anche il Liechtenstein.
La disciplina cfc di cui al comma 8 bis, al contrario, ha una portata applicativa più ampia in quanto può riguardare sia i Paesi extracomunitari e che quelli comunitari.
I presupposti per far scattare la tassazione per trasparenza sono tuttavia più stringenti.
Analogamente alla disciplina cfc black si fa riferimento ad un confronto tra il livello impositivo del Paese estero e quello dell’Italia. Tuttavia si deve confrontare il livello effettivo di tassazione e non quello nominale.
Tale confronto può risultare invero più complesso, tuttavia provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate del 16.9.2016 indica i criteri per determinare con modalità semplificate l'effettivo livello di tassazione.
Inoltre, perché operi la disciplina è necessario che la società estera abbia conseguito proventi derivanti per più del 50% dalla gestione, dalla detenzione o dall'investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie, dalla cessione o dalla concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica nonché dalla prestazione di servizi nei confronti di soggetti che direttamente o indirettamente controllano la società o l'ente non residente, ne sono controllati o sono controllati dalla stessa società che controlla la società o l'ente non residente, ivi compresi i servizi finanziari.
In sostanza, oltre al confronto del livello impositivo effettivo è necessario verificare che la società estera svolga una attività per così dire “passiva”.
Nel caso dei Paesi comunitari e dello SEE che scambiano informazioni la cfc white list è l’unica che può trovare applicazione.
Viceversa, per gli altri, le due discipline coesistono e quella black list deve essere applicata in via prioritaria.
L’iter logico da seguire è quindi il seguente.
1. La società estera è collocata in un Paese all’interno della UE o dello SEE che scambia informazioni?
Se si, andare al punto 4.
Se no proseguire col punto 2
2. Il livello impositivo nominale del Paese estero è inferiore alla metà di quello italiano?
Se no andare al punto 4.
Se si proseguire col punto 3.
3. Opera la tassazione per trasparenza in capo al socio controllante italiano, salvo dimostrare le esimenti di cui al comma 5.
4. La società estera svolge una attività passiva come definita nel comma 8 bis ed è assoggettata ad un livello impositivo effettivo inferiore alla metà di quello italiano?
Se no, nessuna disciplina cfc si applica.
Se no proseguire col punto 5.
5. Opera la tassazione per trasparenza salvo dimostrare l’esimente di cui al comma 8 ter ossia che la struttura estera non è di puro artificio.
Va innanzitutto rilevato come la disciplina cfc black list operi al mero verificarsi della condizione di cui al comma 4, ossia che la società estera sia soggetta ad un regime fiscale ordinario o speciale che determina un livello impositivo nominale inferiore alla metà di quello italiano.
Appare irrilevante l’attività svolta dalla società estera se non per valutare la sussistenza della esimente di cui alla lettera a) del comma 5.
Pertanto, senza entrare nel merito delle esimenti, il livello di regime fiscale nominale già determina la tassazione per trasparenza in capo al soggetto controllante italiano.
Si badi, tuttavia, che la presente disciplina trova applicazione solamente per i Paesi non appartenenti alla UE o allo SEE che scambia informazioni. I paesi dello SEE che scambiano le informazioni sono la Norvegia, l’Islanda e, come segnalato dalla circolare 35 di questa estate, anche il Liechtenstein.
La disciplina cfc di cui al comma 8 bis, al contrario, ha una portata applicativa più ampia in quanto può riguardare sia i Paesi extracomunitari e che quelli comunitari.
I presupposti per far scattare la tassazione per trasparenza sono tuttavia più stringenti.
Analogamente alla disciplina cfc black si fa riferimento ad un confronto tra il livello impositivo del Paese estero e quello dell’Italia. Tuttavia si deve confrontare il livello effettivo di tassazione e non quello nominale.
Tale confronto può risultare invero più complesso, tuttavia provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate del 16.9.2016 indica i criteri per determinare con modalità semplificate l'effettivo livello di tassazione.
Inoltre, perché operi la disciplina è necessario che la società estera abbia conseguito proventi derivanti per più del 50% dalla gestione, dalla detenzione o dall'investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie, dalla cessione o dalla concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica nonché dalla prestazione di servizi nei confronti di soggetti che direttamente o indirettamente controllano la società o l'ente non residente, ne sono controllati o sono controllati dalla stessa società che controlla la società o l'ente non residente, ivi compresi i servizi finanziari.
In sostanza, oltre al confronto del livello impositivo effettivo è necessario verificare che la società estera svolga una attività per così dire “passiva”.
Nel caso dei Paesi comunitari e dello SEE che scambiano informazioni la cfc white list è l’unica che può trovare applicazione.
Viceversa, per gli altri, le due discipline coesistono e quella black list deve essere applicata in via prioritaria.
L’iter logico da seguire è quindi il seguente.
1. La società estera è collocata in un Paese all’interno della UE o dello SEE che scambia informazioni?
Se si, andare al punto 4.
Se no proseguire col punto 2
2. Il livello impositivo nominale del Paese estero è inferiore alla metà di quello italiano?
Se no andare al punto 4.
Se si proseguire col punto 3.
3. Opera la tassazione per trasparenza in capo al socio controllante italiano, salvo dimostrare le esimenti di cui al comma 5.
4. La società estera svolge una attività passiva come definita nel comma 8 bis ed è assoggettata ad un livello impositivo effettivo inferiore alla metà di quello italiano?
Se no, nessuna disciplina cfc si applica.
Se no proseguire col punto 5.
5. Opera la tassazione per trasparenza salvo dimostrare l’esimente di cui al comma 8 ter ossia che la struttura estera non è di puro artificio.
Autore: Silvia Bettiol
www.fiscal-focus.it
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